La reclusa di Amherst
- Dinastia dei Gessi
- 15 mag 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Emily Dickinson
1830-1886
“Il tempo è una prova del dolore
ma non un rimedio
se lo è, dimostra anche
che non c’era malattia.”
(9-06-1866)

Come si può descrivere l’intera vita di un’artista in un articolo da quattro cinque minuti di lettura? Quali gli argomenti di cui trattare? Quali quelli da scartare?
Il tempo è una costante della vita umana, lento ci divora, sciupa ogni nostro progetto o desiderio finché l’acme dell’esistenza umana raggiunge la mosca della morte: ronzante si posa sui nostri occhi.
La morte, l’indagine su cosa ci sia dopo, la spinta a ricercare una visione dell’aldilà, l’angoscia del tempo riflessa in una natura sgargiante: sono solo alcuni dei tanti temi e pensieri che popolavano la mente della poetessa americana Emily Dickinson. Molte sono le poesie che cercano di sviluppare questa agghiacciante paura di dover lasciare il proprio mondo, la propria fisicità, affianco ad una natura fedele e compagna che quotidianamente Emily loda e contempla come antidoto alla solitudine. Fu chiamata “la reclusa” perché passò gran parte della sua vita nella casa di famiglia ma ella non visse da reclusa perché obbligata, scelse di condurre la sua vita al confine dell’inquinamento umano, lontana dal mondo urbano che lentamente stava divenendo un grigiore di menzogna e iniquità; scelse di vivere con i suoi fiori e le sue api, gli uccelli ed i tramonti e la sua grande sensibilità le permise di concedersi totalmente ad essi, di tendere all’immortale bellezza che essa cela, ed imparare da ogni piccola forma di vita estranea all’uomo:
“Rallegrerebbe - una farfalla -
ecciterebbe - un’ape -
non sei né l’una né l’altra -
né come l’una o l’altra - capace -
ma, fiore, fossi te,
preferirei
il tuo momento
all’eternità dell’ape-
la felicità di appassire
è sufficiente per me -
se appassisco nella divinità -
e morire - è vita -
ampia come l’occhio -
che la mia minima attenzione mi dedica -”
Spesso si crogiola dietro la paura di perdere da un giorno all’altro i suoi parenti, di non riuscire a viverli interamente per giustificare il suo essere “reclusa”, questa forse solo una scusa per la sua agorafobia, che la costrinse a schivare gli eventi sociali e non le consentì di pubblicare le sue opere poiché la sua indisponibilità non le consentiva di affrontare la “pubblicità” e tutto ciò che una pubblicazione richiedeva.
Una decina di poesie vennero pubblicate e sempre riviste dagli editori che consideravano certi versi troppo ermetici e poco comprensibili come se la poesia dovesse soddisfare un pubblico e non la spinta poetica che portava ad immergersi totalmente in un mondo bisognoso di essere compreso e tradotto dalle giuste parole e sensazioni; ma la poesia della Dickinson, al contrario di come si crede, visse anche nel tempo della poetessa, grazie alle sue corrispondenze letterarie con grandi critici e amici come Higginson, Bowles o la sorella amata, ai quali mandava le sue composizioni, tenne sempre ordinate le sue opere e revisionava con attenzione ogni poesia “i poeti martiri non parlavano/ma trasformavano il loro dolore in sillabe”.
Ed è grazie a questa trasformazione che i poeti riescono a parlare anche dopo la loro morte. Interessante la concezione di Martire-artista che si immola per gli altri: la morte offre sollievo, poiché giustificata da una buona azione di discendenza. È qui evidente l’impronta religiosa che Emily possiede: il Martire è colui che in nome della propria fede si sacrifica per diffonderla e trasmetterla ai nuovi fedeli; gli artisti, materia soggetta all’accartocciarsi del tempo, divengono portatori di un messaggio profetico, in grado di sviluppare i segreti del mondo, cosicché una volta morti la loro anima si leghi all’eterno tanto amato dalla poetessa, divenendo il testimone di un sacrificio “affinché quando il loro nome mortale fosse muto/ la loro sorte mortale incoraggiasse qualcuno.” (544)
È nell'ultimo verso che la poetessa svela il significato ultimo (o primo) della poesia "Affinché una volta a riposo le consapevoli dita -/Qualcuno cerchi nell'Arte - l'Arte della Pace -" l'arte di saper morire in pace; è la poesia una terapia al dolore e alla sofferenza.
Forte è l’impronta religiosa; l’educazione evangelica della giovane è presente in quasi ogni componimento “mangiò e bevve le parole preziose” (1587)
L’aspetto religioso si evince nella concezione della resurrezione e dell’eterno ciclo esistenziale, questa speranza che a tratti vacilla e che con ironia arguta Dickinson analizza: “una vita come questa è senza fine/sia come sia il Giudizio” (463) “il tempo è così vasto che se non fosse/ per un’eternità/ temo che questa circonferenza/ assorbirebbe la mia finitezza” (802) o ancora la celebre visione dell’esperienza della morte nel componimento 465 “quando morii - udii una mosca ronzare-” l’uso spregiudicato della lingua, dominata alla perfezione dalla poetessa in “buzz” (ronzare) è solo uno dei tanti modi moderni che la poetessa utilizza per tracciare la linea delle corrispondenze tra natura e sentimento umano.
Fu una grande amante della filologia che giustapponeva alla teologia: spesso si identifica in una “strega” della parola in grado di scegliere la combinazione esatta per dar vita ad una pozione di sensazioni: i colori, i neologismi, le onomatopeiche, l’uso senza regole eppure ricco di schemi e ricorrenze, danno vita ad un dizionario proprio e inconfondibile “Non uso mai una tinta mescolata da altri” scrive orgogliosa ad Higginson, era consapevole di aver creato un modo di far poesia indipendente e lontano da ogni tipo di corrente letteraria:
“Molte frasi ha la lingua inglese-
Io ne ho sentita una sola-
Bassa come il ridere del grillo,
Forte come la lingua del tuono-
Mormorante come i vecchi cori del Caspio,
Quando la marea si tace-
Detta con inflessioni sempre nuove
Come di un nottolone-
Spezza con ortografia vivida
Il mio sonno semplice-
E fa rimbombare i suoi presagi-
Finché mi agito, e piango-
Non per il dolore che sento-
Ma per la forza gioiosa-
Pronunciala ancora, Sassone!
shh! - solo per me.”
La scelta e l’indipendenza di scegliere sono altri temi della poetessa americana: la capacità di cogliere i fenomeni mentali e naturali grazie alla potente arma della parola, ed è proprio paragonandosi ad un fucile nelle mani del cacciatore “il Maestro” che plasma la metafora della vita, dello scopo ultimo di essa “un fucile carico rimasto in un angolo, finché il suo proprietario passò e mi portò con se” (754) la battuta di caccia è metafora dello scatto poetico, fulmineo, la certezza della propria vocazione che sì uccide, ma per preservare la vita della poesia. Il dubbio della poetessa resta quello della morte del cacciatore, e quindi della spinta poetica stessa, che porterebbe alla morte psichica. Emily Dickinson quest’ultima angoscia non la conobbe poiché morì prima che l’istinto poetico la lasciasse, nell’ultimo periodo ritornò invece alla sua amata fede nell’eterno e al disincanto di un dio illusorio “A dio chiediamo un solo favore,/ di essere perdonati/ per cosa, dovrebbe saperlo lui - / a noi il delitto è celato”.
In una delle sue ultime lettere indirizzata alla sorella in merito alla prematura morte del nipotino Gilbert scrisse “Alla fine l’angoscia aprì quella porta, ed egli corse alla piccola tomba ai piedi dei nonni - Tutto questo e altro, ma c’è dell’altro? Oltre all’amore e alla morte? Allora dimmene il nome!”
Sapeva che la sua salute era instabile, la caduca condizione la portò a scrivere riguardo la sua morte imminente parole semplici e dirette ai suoi cari:
“Gilbert ebbe dei mughetti, e babbo e mamma del biancospino - quando sarà il mio turno, voglio un ranuncolo - di sicuro l’erba me lo darà, perché non rispetta forse i capricci dei suoi figli fuggitivi?”
Il 15 maggio del 1886 i natali campi di Amherst erano ricoperti di ranuncoli e gerani selvatici, il legame profondo e simbiotico che la poetessa ebbe con la natura non smise di esistere neppure quando la morte piombò sui suoi occhi. Ella fu poetessa e profeta, martire che grazie alla sua poesia visse in eterno.
Morendo crisalide nacque falena, in quel ciclico eterno a cui tanto aspirava.
Nike
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